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Julian Assange vive presso l’Ambasciata dell’Ecuador a Londra da giugno 2012. Non può uscire altrimenti verrebbe arrestato. Sono abituato da anni a vivere una vita disciplinata, controllata, quindi riesco a immaginare cosa significhi vivere in costrizione. Nel suo caso però si aggiunge una persecuzione maggiore. Non c’è mail che non sia monitorata e non può mettere piede fuori da una sorta di appartamento, questo è l’Ambasciata dell’Ecuador, che coraggiosamente lo ha accolto. Mi chiedo come faccia a non incontrare la sua famiglia, a resistere all’accusa di stupro, un’accusa dal mio punto di vista, manipolata. Comprendo che a tutto questo si può rispondere: se avesse voluto una vita tranquilla non avrebbe dovuto fare quel che ha fatto. Non avrebbe dovuto mostrare ciò che non viene detto, ciò che ci viene costantemente taciuto. Ma Assange, comunque la si pensi, ha mostrato il dna del potere. Del nostro incontro non ricorderò solo le informazioni che ci siamo scambiati, ma soprattutto quella sorta di pace zen che quando si vive come lui è difficilissimo se non impossibile raggiungere. Quando si vive rinunciando alla propria quotidianità, dovendo mentire per la propria sicurezza, camminando poco e circondato sempre da uomini in armi, in genere si finisce con il diventare nevrotici, bipolari, nervosissimi, sempre. Paranoici, totalmente in balia della solitudine. Difficile, quasi impossibile, uscire da questo guado in cui si finisce quando vieni privato della libertà, quando sei sotto osservazione, sotto giudizio pubblico costante. Io mi sento affondare in queste sabbie mobili. Julian Assange invece sembra essere riuscito a salvarsi, a tenere in qualche modo lontano da sé il personaggio pubblico e le accuse a lui rivolte. Io no, non ancora. Bisogna imparare a capire che gli attacchi continui, la bile, l’invidia, la ferocia, nascono e si nutrono perché sei esposto. Guardando lui ti rendi conto davvero che i fulmini si abbattono sulle vette.
Roberto Saviano
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